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2016-02-29

Perché anche in Calabria il bicchiere può essere mezzo pieno

Non so se vi è mai capitato di iniziare a leggere un libro e di ritrovarci dentro quello che pensate, pagina dopo pagina vedere stampato quel che avete in mente, espresso magari con altre parole, venuto fuori da altre esperienze, ma davvero quel che anche voi vorreste raccontare...la mia Calabria di cui sempre poco vi parlo, forse per uno strano e inspiegabile senso di pudore o quasi una sorta di gelosia, una voglia immotivata di tenere per me quello che di questa terra, in cui sono nata e cresciuta e da cui solo per pochi anni sono stata lontana, non potreste capire. La mia terra, la mia gente, la Calabria, il bello e il brutto di essa, il positivo e il negativo del "calabrese" li ho letti come avrei voluto io stessa scriverli ne Il bicchiere mezzo pieno di Nicola Fiorita e Giancarlo Rafele pubblicato nella collana Impronte di Sabbia Rossa edizioni.
Muli testardi che scalciano, non ancora convinti di poter essere felici ecco come definiscono gli autori, catanzaresi doc, gli abitanti di questa strana terra che hanno percorso in lungo e in largo per restituircene un quadro dettagliato in questo lavoro che pulsa d'amore per la propria terra e la sua gente dalla prima all'ultima pagina. Da veri muli i calabresi se si mettono in testa una cosa non cambiano idea nemmeno a morire e prima o poi a quella cosa ci arrivano è solo che non si sono ancora messi in testa di essere felici ecco la chiave di lettura di questo libro espressa nella chiusura del primo capitolo. In questo viaggio lungo cinquemilaseicentoerotti chilometri, attraverso l'incontro con i tanti "eroi d'oggi" che hanno deciso di rimboccarsi le maniche e sono riusciti a cambiare qualcosa restando, tornando e arrivando da un altrove in questa terra, capiamo perché il bicchiere dobbiamo vederlo mezzo pieno. Lo scenario di questo viaggio, manco a dirlo, è la tavola e i suo dintorni e questo ci piace molto perché diventa un altro modo di conoscere questa terra e la sua gente seguendo magari il percorso che gli autori ci indicano. Tra una rituale "coddara" e un terapeutico "morzeddu" passando per un tocco di stocco si articola questo racconto che tutti dovrebbero leggere indipendentemente dall'essere calabresi. "...questo non è un posto per uomini di mezza età, non è un posto per chi vuole qualcosa o per chi addirittura pensa di fare qualcosa. E' un posto che culla la spensieratezza dei ragazzi e la stanchezza dei vecchi. Un paese dei balocchi senza balocchi".
Facendo mia la positività di Fiorita e Rafele, basata su fatti e persone reali e non su utopie, penso che sia arrivato il momento di cambiare cogliendo quanto di buono è già stato fatto e prendendolo ad esempio lavorandoci su per costruire altro cercando di limare fino ad annullarle le negatività. 
E' arrivato il momento di smettere di trattare la mia Calabria come una casa di villeggiatura che si ama per pochi giorni all'anno lasciandola a sé stessa per tutto il resto del tempo, con quell'incuria che deriva proprio dal fatto di viverla per poco, nessuno sembra realmente interessato a riportarla allo stato ottimale tanto, si pensa, per quel che serve va già bene così...spero onestamente che libri come questo servano a infondere in noi calabresi una punta di ottimismo e a risvegliare in noi quell'orgoglio  che ci permetta di vedere ancora e per sempre il bicchiere mezzo pieno.
Pungolata nella mia "calabresità" ho realizzato un piatto tipico del nostro territorio ma di questo vi parlo la prossima volta...

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